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Pensieri ed identità
Silvia Nanni Architetto
2 Maggio 1991 – 2 Maggio 2021 Trentennale dell'Attività
Sono stati 30 anni di lavoro intenso.
Niente di eccezionale, tranne la serietà.
Niente di straordinario, tranne il senso della misura.
Niente di rivoluzionario, tranne l'aver cura, credo la più alta forma di creatività.
Architettura sono le case che quotidianamente viviamo, i marciapiedi che calpestiamo, le tante stanze che percorriamo. Niente a che vedere con gli “archi-luna-park” che affollano le riviste patinate.
Ho attraversato questi 30 anni - forse gli anni più complessi della storia dell'edilizia in Italia - imparando da chiunque avesse qualcosa da insegnare, nella grande scuola del cantiere; lì i discorsi finiscono, c'è solo il fare, il saper fare, il fare bene - e se una cosa è fatta male i discorsi non rimediano.
Sono stata accolta in centinaia di case delle quali mi sono presa cura indistintamente, tutte speciali come le persone che le abitano; ho lavorato fianco a fianco con chi produce, per costruire spazi dove il lavoro potesse celebrare la propria nobiltà. Laddove non ho potuto, ho fatto un passo indietro.
Sono grata a tutti i miei Clienti che mi hanno dato l'opportunità di mettere in campo idee e saperi, come a tutti coloro con cui a vario titolo ho avuto la fortuna di condividere quella grande scuola che è il cantiere.
La grande città è fatta di tante piccole grandi stanze ed una città è grande se le sue stanze - tutte le sue camere, tutti gli uffici, tutti i negozi, tutti i laboratori, tutti i marciapiedi, tutti i crocicchi, risplendono di umanità. Così non ci sono incarichi più importanti, perché è della qualità della vita delle persone di cui da sempre un Architetto si occupa, non altro.
Ho rivendicato e rivendico per me - e per tutti i colleghi che lo condividono - questo impegno, questa dimensione modesta ed autentica, forse eroica del fare Architettura; di questo prendersi cura del costruito che consente alle idee di crescere, alla società di essere tale, alla vita stessa delle persone di esistere.
L'abbiamo capito durante la pandemia: le nostre case sono la prima infrastruttura che può difendere e prendersi cura di un'intera popolazione. A questa prima strategica infrastruttura dovrà essere dedicata la vigilante attenzione e la massima cura attraverso gesti misurati, senza spreco di risorse, mercanteggiamenti, inutili esibizioni ed esibizionismi.
Continuando ad imparare a costruire bellezza, avendo cura.
Silvia Nanni, Architetto
'Trentennale dell'attività' '2 Maggio 1991 – 2 Maggio 2021'
Indice |
Radici - Costruire Bellezza Avendo Cura
Eleganza e senso della misura, creatività e permanenza, artigianalità unita ad innovazione, saper vedere il tanto che c'è anche nel poco.
Questo è il mio DNA ed il valore aggiunto nel mio lavoro. Nelle radici troviamo linfa vitale ed ispirazione
I miei bisnonni non erano ricchi - come la stragrande maggioranza degli italiani del primo Novecento; ma con il legno delle traversine del treno il mio bisnonno Domenico, ferroviere, faceva le forme e la mia bisnonna Nazarena lavorava il feltro con il vapore per fare i cappelli per le loro figlie, perché fossero eleganti e vestite di tutto punto. A mia nonna Annita piaceva cucire, fino a diventare, nella Milano degli anni '30, modista per una importante sartoria. Poi arrivò la guerra e si portò via tutto. Mio nonno Athos era ebanista ma aveva studiato elettrotecnica; partì per il fronte come radiotelegrafista; nelle pause amava fotografare la lussureggiante natura africana e - non so come riuscisse - sviluppava e stampava utilizzando la lampada da campo. Queste sono le mie radici
2 Maggio 1991 – 2 Maggio 2011
Vent'anni di ….
Soffermarsi, e riflettere sulla strada che stiamo percorrendo, lasciando sullo sfondo gli obbiettivi; un esercizio da compiere spesso, ma che alcuni momenti lo rendono quasi una necessità.
Vent'anni di libera professione, vent'anni di iscrizione all'Ordine Architetti: prima Forlì, poi Rimini, città di nascita, in quanto nuova provincia, poi Firenze, città nella quale mi sono laureata e che da allora è stata la mia seconda città natale.
Laurearsi, per poi scoprire di essere stati preparati per un mondo che non c'è; quello reale, quello della così detta “libera professione” è un contesto negli anni sempre più angusto, ove non c'è sopravvivenza – e, tutto sommato, nemmeno ragione - per una creatività intesa come soluzioni avulse dalla realtà con cui, inevitabilmente, dovranno confrontarsi; capire quindi di dover ripartire non da zero ma dal mestiere, per potere dare forza, sostanza, credibilità alle idee. Una risposta ad una domanda che non c'è può essere una frase senza significato. Così diventano nuovi, indimenticati, maestri tutti coloro che, con serietà, dedizione, capacità ed impegno operano nel settore.
I primi incarichi, inaspettati; tra i primi una direzione lavori; entrare in cantiere e capire che non è necessario dimostrare niente a nessuno, un cantiere è un'opera collettiva, in cui ciascuno presta il proprio contributo e le proprie competenze; capire che il vero sapere è il saper imparare da tutti, che la vera leadership è a volte quella capacità di suggerire le soluzioni lasciando ad altrui la soddisfazione di trovarle, in ogni caso la capacità empatica di saper creare spirito di gruppo - che qualche cliente forse ha confuso per debolezza, non capendo che è in questo spirito la vera forza di un cantiere; la stessa forza che ha saputo costruire le cattedrali e che oggi, venendo a mancare, non sa più costruire che opere imperfette. Se in vent'anni di direzione lavori non ho mai avuto una contestazione lo devo, anche, a tutti coloro che in cantiere hanno fatto più del loro semplice dovere.
Poi la prima crisi del settore edile, negli anni novanta, ma non profonda; il telefono non squilla più insistentemente ma si lavora, i cantieri non si fermano...poi l'euforia, con un mercato “drogato” da tassi di interesse bassissimi e mutui concessi con molta facilità; i prezzi volano, e gli appartamenti divengono sempre più piccoli; la spinta speculativa fa avanzare sul mercato piccole imprese sempre meno qualificate, l'edilizia è una specie di Eldorado, ma per il progettista è invece guerra di trincea, a difesa di una qualità dell'abitare, del diritto ad una casa dignitosa. E' difesa del proprio ruolo che è un servizio, perché il fare Architettura – che si tratti di un semplice appartamento o di un grande complesso – è un servizio che si rende alle persone ed un atto di amore che si compie per il nostro pianeta; diversamente è abuso, anche se legittimato da tutti i regolarissimi permessi....
E poi la crisi attuale. Forse non è nemmeno corretto chiamarla crisi perché, sembra oramai evidente, niente potrà tornare ad essere come prima. Gli assetti planetari stanno mutando. Mi sgomentano non i tempi che ci attendono, ma come essi sono attesi. Quando un bosco brucia, grande è la devastazione, ma proprio quel grande calore permette il germogliare di semi e spore addormentate da millenni. Già una volta l'Europa ha bruciato, e sono stati tempi terribili. Accomuna i nostri giorni con quei tempi terribili il degrado a tutti i livelli, il sonno delle coscienze, l'esaltazione della furbizia e la derisione dell'onestà, il millantare crediti umiliando la serietà dell'impegno, la prevalenza dell'inganno sul saper fare.
Per un Architetto vent'anni di professione non sono pochi, o forse sì; questi venti anni sono in ogni caso per me un punto di forza e di conferma che la serietà del momento rende così prezioso per continuare ad impegnare, ad investire, a credere, a costruire.
Silvia Nanni, Architetto
il lavoro dell'Architetto...
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